venerdì 11 maggio 2012

SUICIDARSI PER IL LAVORO


SUICIDARSI PER IL LAVORO E' PRIMA DI TUTTO STUPIDO

Giorno dopo giorno, si moltiplicano i casi di suicidio di persone che hanno perso la loro fonte di sostentamento, sia che si tratti del loro posto di lavoro, che di imprenditori la cui azienda fallisca. 
Certamente, ritrovarsi senza questa capacità di provvedere a sè stessi ed ai propri cari, alle persone che a noi si erano affidate, è un evento tragico il cui effetto dirompente sui propri equilibri psicologici non può essere sottovalutata.
Tuttavia, a un'angoscia così profonda e così giustificata, si dovrebbe opporre una forza altrettanto intensa, quella dovuta al nostro istinto di sopravvivenza, a questa tendenza così connaturata alla vita a volere prolungare sè stessa.
Vi confesso che in presenza di primi casi di suicidio collegati a problemi di natura economica, ero portato a spiegarli sulla base di problemi psicologici, forme latenti di psicosi che scoppiavano in condizioni propizie dando luogo a queste tragiche azioni. 
Oggi, vedendo la moltiplicazione dei casi, questo tipo di spiegazione non sembra reggere, non si può sapiegare tutto sulla base di problemi psicologici individuali, nei casi di fenomeni di massa è buona norma invocare spiegazioni di tipo culturale...

C'è insomma un'influenza di natura sociale che probabilmente si innesta su soggetti psicologicamente particolarmente predisposti. 
Questo aspetto culturale è collegato ai valori di cui si nutre questa società, sulla considerazione sociale così strettamente correlata alla propria capacità di spesa, all'importanza se non di essere ricchi, almeno di non essere poveri o poverissimi. 
Ciò che voglio qui sostenere è che questa è una cultura da respingere, una cultura distruttiva, e da' ulteriori evidenze di quanto la cultura possa influenzare profondamente i comportamenti umani.
C'è in effetti qualcosa di paradossale in questi suicidi, dal mio punto di vista troverei più naturale il suicidio di gente troppo ricca, ma qui il discorso ci porterebbe lontano. In ogni caso, l'aspetto che trovo paradossale può essere illustrato con un esempio, come se una persona che non trova cibo, e che quindi rischia di non avere mezzi di sussistenza, decida di digiunare, cioè di portare alle estreme conseguenze quel pericolo che è la causa stessa della sua angoscia. In genere, come andamento comparativo del fenomeno del suicidio, esso è più diffuso proprio nei paesi con redditi più alti, proprio perchè chi rischia di morire di fame non ha ragione apparente per assecondare il rischio che pure costituisce il motivo della propria afflizione. 
Proprio in base a queste considerazioni, non bisogna più tacere, non bisogna assumere un atteggiamento quasi di solidarietà con questi suicidi per motivi economici, sarebbe sotto una certa visuale una forma di complicità. Voglio perciò denunciare quanto ci sia di stupido in questa cultura che tende a dare un'importanza così fondamentale agli aspetti economici. 
Vorrei che la grande stampa lo dicesse quanto è stupido suicidarsi perchè si fallisce, invece di fare di costoro dei martiri. E' evidente che la compassione umana c'è per tutti i nostri simili, ma ciò può portare a considerarli per quelli che sono, dei deboli che hanno ceduto a una mentalità dominante malata. Se però vogliamo denunciare quanto tale mentalità sia patologica, e come vada superata, allora non dobbiamo farne degli eroi che hanno difeso sino in fondo il lavoro dei propri dipendenti: non sono eroi, sono delle persone certo sensibili che però hanno capovolto l'ordine naturale dei valori, ponendo un fattore sociale, l'economia, al di sopra dello stesso valore della vita, un esempio da non imitare, ma anche una lezione per l'intera società che dovrebbe emanciparsi da tale dipendenza patologica da un  fattore tutto sommato marginale, quello della nostra capacità di spesa. 

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